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Data di pubblicazione: 14 ottobre 2016

Sportello dei diritti, arrestato D'Agata

Quotidiano di Puglia
Puglia

Viaggi all’estero, biglietti aerei e di treno, cabina e due posti auto in uno stabilimento balneare di San Cataldo per un importo di 1.650 euro, un regalo del costo di 5.000 euro per la partecipazione ad un matrimonio in India, acquisti di arredi e di suppellettili da due dei negozi più raffinati di Lecce ed anche un versamento di 25mila euro ad un indiano con residenza a Manerbio (in provincia di Brescia). Perché fra le contestazioni di cui risponde l’avvocato dello Sportello Dei Diritti, Francesco D’Agata, ci sono anche 80mila euro movimentati in parte con il collega Graziano Garrisi dai due conti correnti bancari della giovane cliente senegalese indicata come vittima della truffa contestata a D’Agata.
Delle movimentazioni bancarie rispondono gli avvocati D’Agata e Garrisi perché i finanzieri della sezione di polizia giudiziaria distaccata in Procura hanno tracciato il percorso del denaro ed attraverso gli indirizzi ip dei computer e le celle telefoniche agganciate dagli smartphone e dai tablet, sono riusciti ad ottenere riscontri sui sui bonifici relativamente a luoghi, giorni ed autori.
Circa una trentina i pagamenti contestati e non riconosciuti dalla effettiva titolare dei due conti correnti, cioè la ragazza senegalese ambulante di 34 anni che nel 2010 rimase vittima a San Cesario di un incidente stradale a cui il Tribunale di Trieste (competente perché a liquidarli fu l’Allianz che ha sede legale in quella città) riconobbe 636mila euro, interessi legali compresi. Le verifiche incrociate degli investigatori specializzati nei reati finanziari dicono che le carte bancomat di questa ragazza furono impiegate anche per forniture di carburante ai distributori automatici, per pagamenti di competenze professionali a consulenti, per la restituzione di somme prese in prestito ed anche per spostamenti di denaro sul conto corrente sempre intestato alla stessa cliente ma senza che questa ne avesse la disponibilità.
L’aggravante di aver approfittato delle condizioni di “minorata difesa” della ragazza, si basa anche sulla circostanza che i due conti correnti bancari furono domiciliati nello studio legale di Francesco D’Agata. Tuttavia quando l’ambulante senegalese è stata sentita dai finanzieri, ha disconosciuto tutte le movimentazioni di denaro attestate dalle indagini, tranne due: i 1.070 euro restituiti ad un connazionale. Ed i 50mila euro versati all’avvocato D’Agata, 39mila per l’onorario e gli altri per restituire vari prestiti. La ragazza ha detto di non conoscere l’indiano a cui fu versato un assegno di 25mila euro il 17 luglio di due anni fa, come anche di non aver speso soldi in viaggi, aerei e treni. Peraltro si trovava in Senegal quando furono effettuati alcuni di quei bonifici e non aveva a disposizione un computer per il banking on line.
La donna del resto, ha sostenuto di non essere stata messa al corrente di tutto l’effettivo patrimonio accumulato con il rimborso ottenuto dal “Fondo vittime della strada”, quando fu sentita dai finanzieri il 9 settembre di due anni fa. Che fosse vittima della truffa contestata al suo legale, lo ha scoperto negli uffici di via Calabria dove le Fiamme Gialle avevano letto il suo nome indagando sulla denuncia sporta da quella donna di Torino che ha fatto finire D’Agata, ed un altro avvocato leccese, sott’inchiesta per infedele patrocinio: l’iban su cui versò i 4.000 euro per il ricorso in Cassazione mai effettuato - questo dice l’accusa - corrispondeva al nome di una senegalese. Questa anomalia richiese chiarimenti ed aprì la strada a quel vortice di sospetti che ha fatto finire ieri D’Agata in carcere ed il collega Graziano Garrisi ai domiciliari.
Ai finanzieri la giovane ambulante raccontò che fu Francesco D’Agata a farle aprire un secondo conto coorrente bancario e che la mise al corrente della sentenza che le liquido 236mila euro in due tranche. Su sua richiesta ad agosto dell’anno scorso il legale le consegnò la sentenza riportante quella cifra. I finanzieri invece le mostrarono la sentenza in originale: combaciava tutto, tranne un particolare. E che particolare: la cifra. Cioè 636mila euro.

 

fonte: Quotidiano di Puglia

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