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Data di pubblicazione: 06 maggio 2007

Intervista a Barbara Marugo, da modella a Vigile

Il Giornale
Lombardia


Barbara Marugo nasce a Genova nel 1973. Figlia di un medico, abita in via Jacopo Ruffini, fra le più belle della città. Frequenta la scuola privata nella stessa via. Nel 1990 comincia la carriera di modella, grazie a uno dei pazienti del padre, un noto fotografo di moda legato in quel momento a Monica Bellucci. Per cinque anni la Marugo appare sulle copertine di riviste italiane e straniere, lavorando per l'agenzia di Riccardo Gay. Si trasferisce a Milano, poi a New York. Ogni tanto torna a Genova, dove trova amici in altri ambienti. Il distacco dalla moda matura prima di quanto imponga l'età. La soddisfazione di essere un oggetto di desiderio sfuma. Si torna alla normalità. Un giorno un fotografo riconosce la Marugo nell'uniforme della polizia locale, così la stampa riprende a occuparsi di lei. Nel 2004 le sue poesie, L'amore più immenso, sono appare presso un piccolo editore (Sometti di Mantova), nel 2007 il romanzo Guardami negli occhi è uscito da Rizzoli.



***


Guardami negli occhi, intima il titolo del romanzo autobiografico di Barbara Marugo (Rizzoli, pagg. 206, euro 17). In copertina, una ventenne in abito trasparente. Guardandola negli occhi e altrove, penso al titolo di un precedente romanzo sulla moda, Sotto il vestito niente, e mi chiedo se s'intendesse niente come biancheria o niente come persona. A giudicare dalla copertina e dal testo di Guardami negli occhi, la Marugo - è lei stessa che vi appare - preferirebbe per sé la prima interpretazione. Come Ippolita Avalli, altra dea della moda, la Marugo è infatti scesa dalla passerella mettendo un libro fra passato e presente, fra sartoria e polizia (locale).
Signora Marugo, chi decise che la taglia ideale non fosse più la 42, ma la 38?
«Stilisti che non vestono le donne perché le amano, ma che le usano come grucce per appendere gli abiti».
Una taglia 42 è una “gruccia” troppo grossa?
«Purché risaltino gli abiti e l'ego di chi li disegna, si deprime chi li porta».
Anoressia: una malattia indotta.
«Da una lobby forte, contro cui non parla chi vuol restare nel sistema-moda».
Lobby sessuale?
«Lobby omosessuale».
Lei ha lasciato la moda per poter dire quel che vuole?
«Soprattutto non mi riconoscevo più nell'immagine che avevo».
Bella, giovane, desiderata: tutto ciò che il consumismo propone, lei l'aveva...
«Questo mito dell'Occidente non mi attira più. La chiami caduta d'immagine o crisi d'identità».
La modella sposa l'atleta, l'attore o diventa attrice lei stessa. Perché lei fa il vigile?
«Per essere altrove, per lavorare all'aria aperta, fra la gente. Da segretaria sarei finita soffocata».
Invece?
«Invece un giorno sono nelle case popolari del Gratosoglio e un altro mi occupo di un bar che vuol mettere i tavolini fuori... ».
Terroristi, criminali, magistrati scrivono tanto: hanno tempo. I libri dei vigili sono rari.
«Il regolamento vieta un secondo lavoro; quello dello scrittore può essere considerato tale, quindi ho dovuto chiedere l'autorizzazione per pubblicare».
Esordio da modella di copertina; esordio da scrittrice alla Rizzoli. Lei comincia tutto dall'alto?
«Da modella ho cominciato perché mi è stato offerto. Da scrittrice ho raccontato la mia vita. È stata fortuna o bravura aver cominciato con un grosso editore? È presto per giudicare».
Prima del vigile, lei aveva fatto lavori “normali”?
«Assicurazioni. Ma non sono mai stata brava a vendere polizze».
Vigile si diventa per concorso, modella no. Come aveva fatto?
«Per appropriazione indebita di fotografie. Un giorno mi sono vista esposta in una farmacia: l'autore delle foto le aveva vendute senza consenso».
Con la figlia modella, come reagiscono i genitori?
«Sono incerti fra eccesso di sostegno e di diffidenza».
Sua madre è stata indossatrice?
«È stata campionessa di tiro al piccione».
Definisca l'ambiente della moda.
«Disinvolto, però professionale».
Non è dunque come il cinema, almeno come quello italiano?
«È meno peggio: ci sono i compromessi, più per gli uomini che per le donne, ma sono rare le proposte “dirette”, tipiche del cinema. Ci si adegua solo all'ambiente...»
...Dunque?
«Nelle feste delle agenzie ci si lascia andare».
E sul lavoro?
«Mai ho subìto intimazioni su un set fotografico».
Mentre su un set cinematografico...
«Sì. E me ne sono andata da una preselezione: m'avevano sgridato perché non ero stata abbastanza “carina”».

Fonte:
Il Giornale

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