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Data di pubblicazione: 17 ottobre 2020

Municipale Val d’Enza

Telereggio
Emilia-Romagna

In tribunale a Reggio Emilia, davanti agli imputati, le testimonianze dei vigili che avrebbero subito le prevaricazioni del vice Fabbiani. Una di loro: “Mi aveva chiesto di fare la spia, non ho accettato. Non mi ha mai consegnato l’uniforme”

REGGIO EMILIA – Due anni fa uno scandalo aveva investito il corpo di polizia locale dell’unione Val d’Enza. Nella fase dibattimentale si trova il relativo processo. Al centro dell’udienza di questa mattina le testimonianze degli agenti che avrebbero subito angherie da parte del loro vice comandante.

“Mi aveva chiesto di fare la spia – la deposizione di un’ex agente del corpo – Il secondo giorno di lavoro già mi arrivò questa richiesta. Dopo, ci sono state le varie ripercussioni, per il fatto che non ho mai accettato di fare quello che lui mi chiedeva, il Fabbiani”.

Prevaricazioni e ritorsioni lesive dal punto di vista della professionalità e della dignità umana. Sarebbe questo il prezzo pagato da chi non sottostava ai modi di fare e alle consegne impartite da Tito Fabbiani, il vice comandante della polizia locale dell’unione Val d’Enza, licenziato un anno e mezzo fa assieme a due colleghi: l’ispettore Annalisa Pallai, sua compagna, e Cristina Caggiati, la comandante. Il reato di mobbing è tra quelli ipotizzati nell’inchiesta portata alla luce due estati fa. A vario titolo, le accuse sono di concussione, peculato, abuso d’ufficio e truffa aggravata ai danni dello Stato.

Come parte civile si sono costituiti cinque agenti, due dei quali si sarebbero visti costretti a licenziarsi poiché arrivati al limite della sopportazione. “Fu una decisione molto sofferta – ha aggiunto la donna – Era un lavoro che facevo con dedizione, mi è costato molto arrivare a buttarlo via per colpa di comportamenti non proprio consoni. Tutt’ora ci sto male”. Testimonianze che sono state ascoltate alla presenza dei tre imputati. Il rifiuto di fare da delatrice a Fabbiani, riferendogli quanto di lui si diceva tra colleghi, è costato alla ex vigilessa, tra le altre cose, la mancata consegna della divisa. “Mi sono dovuta arrangiare, chiedendo in prestito a colleghi del vestiario, ho dovuto mendicare praticamente”.

Vessazioni durate un anno, a partire dal settembre 2008. Un anno definito “horribilis” dalla teste, che a un certo punto, così la sua deposizione in aula, per il livello di esasperazione raggiunto, ha perfino meditato di sparare al suo superiore. Il processo riprende il 23 ottobre con altri testimoni, in totale sono una cinquantina quelli ammessi. “Le vessazioni, che erano psicologiche, erano fatte di angherie e soprusi e sono state finora confermate dalle testimonianze. Emerge la figura di un padre padrone”, ha detto l’avvocato Ernesto d’Andrea che difende i cinque agenti parte civile.

 

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