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Data di pubblicazione: 19 agosto 2008

I bambini che volevano giocare con le molotov

La Stampa
Liguria
Non è una battuta e non è nemmeno una possibile via di scampo. E' lo stupore, genuino, perfin quieto, dei ragazzini che due giorni dopo un fuoco che invade la Ferrovia, scoperti, dicono ai Vigili Urbani: «E' soltanto così, abbiamo provato». Provato cosa, santo cielo? Poteva accadere un disastro. «Ma no. Giocavamo alle Molotov».

Rudimentali, però bombe. Le hanno provate sabato scorso in un camping a Vadino, un pezzetto di Albenga che sta vicino al centro storico e, insieme, si aggrappa alla periferia che si prolunga verso la massicciata dove corrono i convogli della Genova-Ventimiglia. Un gruppo di sei bombaroli in costume da bagno: quattro di loro hanno tredici anni, altri due hanno compiuto i quattordici, venuti a «giocare» dalle province di Torino, Cuneo e Milano.

I Vigili Urbani sono andati prudenti, prima di addossare colpe. Ma era come proseguire in un cammino a ritroso. Dai binari a tende e roulottes. E ieri è venuta fuori la verità, l'ammissione, e anche lo stupore: «Se ne sente parlare, sembrava facile». E' stato facile: secondo la ricostruzione ufficiale, hanno preso bottiglie in vetro del campeggio, le hanno riempite d'alcol, ci hanno infilato strisce di carta come micce, hanno fatto scattare gli accendini e le hanno lanciate.

Lanciate in un'area di sterpaglie, di vegetazione secca. L'incendio è divampato in pochi secondi, si è esteso. L'allarme è scattato subito. I treni sono stati fatti rallentare già nelle stazioni ai due lati del rogo. Nessun blocco, soltanto ritardi.

I ragazzini sono stati riconsegnati ai genitori, qualcuno sgomento, altri forse tanto stupiti per le conseguenze della bravata («siamo stati tutti ragazzi», «non è successo niente di grave»). Per i tredicenni finisce tutto lì, per gli altri due è scattata una denuncia alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Genova.

Non è la denuncia e non sono le sue conseguenze quelle che interessano oggi. E' il fatto legato da due opposte rincorse dei ragazzi. Gli psicologi dicono: «Non andavamo anche noi in esplorazione? A vedere la grotta piuttosto che un altro luogo d'avventura?». E ci facevamo male, tornavamo feriti e ci sgridavano, ricordano. Ma ammoniscono: «Oggi è un'altra la materia. E' quella dei telegiornali, quella del dialogo fra gli adulti, quella di Internet, che a quell'età è un'abitudine quanto la play station».

I ragazzi di quell'età - tra Harry Potter e qualche fuga verso Stephen King - è difficile che conoscano il coraggio pauroso di Tom Sawyer - che finge di essere un artista per far dipingere al posto suo la cancellata dagli amici - e la spericolata, incosciente «maturità» di Huckleberry Finn. Sono passati da Heidy a Lara Croft. I telegiornali sono - doverosamente - relazioni di scontri di ogni tipo.

Passa anche la parola Molotov. Archivio - ingiusto archivio - per la generazione del '68. Si vedono ancora, si sono viste come nostalgiche esibizioni anche in qualche recente manifestazione. Molotov voleva dire il bar Angelo Azzurro di Torino, via Po, quella che scende alla quiete del fiume: per vedere l'effetto che fa si tirarono le Molotov contro un bar e un ragazzo che non c'entrava niente, che non era di destra né di sinistra, rimase annerito in un gabinetto, piazzato su una sedia sotto i portici ad aspettare i soccorsi. Si chiamava Roberto Crescenzio, aveva ventidue anni. La sua immagine - corpo di fuliggine su una seggiola - fece il giro del mondo.

Contro la massicciata - non contro i treni o suoi passeggeri - è stata una prova: l'effetto che fa. Ai ragazzi, oggi, si insegna come si costruisce una Molotov e non importa se il nome viene da Vjaceslav Molotov, ministro degli Esteri e segretario della Guerra dell'Unione Sovietica nel secondo conflitto mondiale, in quanto inventore, o non, piuttosto, viene dal grido contro di lui dei militari di Francisco Franco che le lanciavano sui carri armati T29 indicando la bomba con il nome dell'uomo simbolo.

Materiale da libri, da scuola, da lettura in salotto. Non è più per i ragazzi. Ma ancora rientrano in gioco la psicologia, anche la psichiatria. Oggi, spiegano gli specialisti, siamo noi stessi, noi genitori, assuefatti a ben altro che le Molotov, a cariche di polizia, modelli televisivi di successo (dai tronisti alle veline) bombardamenti d'ogni provenienza, un'Ossezia che si scopre vera anziché nome da spy story o risiko. E i ragazzi vanno a giocare. Ci è scappato di mano l'esempio cui si ispirano per giocare, l'esperimento, il gusto di costruire qualcosa che somiglia alla Realtà. La loro - e spesso nostra - Realtà è quella delle immagini sullo schermo.

Sei ragazzi sorpresi, sei ragazzi che confessano. Quattro non imputabili. La stessa risposta, dicono i Vigili Urbani: «Volevamo provare com'è». Sei innocenti, e innocenti le famiglie stupite, non quelle che minimizzano un gioco alle 17 verso un treno carico di gente come loro e i loro figli.



Fonte:
La Stampa

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