Data di pubblicazione:
13 febbraio 2007
Da tifoso ad avvocato degli ultrà...
Fonte:
Espresso local
Da tifoso ad avvocato degli ultrà
Giovanni Adami: «Basta “toppe” antiviolenza, serve una legge efficace»
Mai come adesso le sue giornate sono frenetiche, da Milano a Siena, da Roseto degli Abruzzi a Modena, da Treviso a Catanzaro. Oggi un aeroporto, domani un tratto di autostrada, con la previsione di un’ora o due di sonno. Non solo aule di tribunale, ma anche scuole e università per conferenze. Lui è Giovanni Adami, l’ultrà diventato avvocato e ora legale dei tifosi (di calcio e basket) di mezza Italia che hanno qualche grattacapo con la giustizia.
Avvocato Adami, su quali “fronti” è impegnato questa settimana?
«Dopo aver presenziato a un’udienza a carico delle Brigate rossonere e aver seguito due degli 11 imputati di Trento coinvolti nei disordini di una gara di C col Pavia, in agenda c’è un Verona-Modena e un Benetton Mens sana Siena di basket, quindi un Milan-Roma. Nel frattempo sono in continuo contatto telefonico con il collega di Catania chiamato a occuparsi degli arrestati in seguito ai tragici fatti del derby».
Di questo parleremo dopo. Ci spieghi intanto come si fa a diventare avvocato degli ultrà. Lei è stato il primo in Italia, vero?
«Sì, in contemporanea con Lorenzo Cantucci, capo della tifoseria romanista; lui nella capitale, io a Udine. Lo conosco da tempo e quando, nel ’98, ci siamo reincontrati fuori dallo stadio Olimpico, dove l’Udinese di Zaccheroni aveva battuto i giallorossi per 2-1, ci siamo detti: ma come mai tutti questi tifosi diffidati e costretti all’obbligo di firma in questura? Perchè non approfondiamo la questione e studiamo i ricorsi al Tar? Mi sono concentrato su questa legge 401 dell’89, che è tra l’amministrativo e il penale. Ed è diventata praticamente un specializzazione».
Però dopo lei ha approfondito la legge al riguardo confrontandola con quella dei altri Paesi europei. Che diversità ha riscontrato?
«In Inghilterra sono estremamente severi, lì non si usufruisce di alcun beneficio tipo sospensione condizionale. La Germania e l’Austria prevedono multe salate che possono essere comminate anche per tre o quattro volte; da noi c’è una via di mezzo, ma a mio avviso la legge italiana non risolve il problema ed è ai limiti della costituzionalità per quanto riguarda l’arresto con differita fino a 36 ore».
Al di là di questa attività, lo sport ha comunque sempre fatto parte della sua vita, non solo perchè tifoso, ma perchè praticante a livello professionistico nella pallacanestro. Lo vogliamo ricordare?
«Ho giocato un anno in A a Udine nell’Emmezeta di Cainero, Piccin e Fabbricatore, che mi hanno prelevato dalla Virtus Padova. Tra i campionati alla Virtus e quelli alla Longobardi Cividale ho collezionato sette anni di B2. Ora mi sto divertendo con gli amatori della Pau udinese».
Nel frattempo, tifoso irriducibile allo stadio Friuli.
«Precisamente da quando avevo 5 anni, nel ’76, e mio papà mi portò a vedere Udinese-Bolzano 3-2. Ho continuato a seguire assiduamente le zebrette anche se vivevo e studiavo a Padova. Quest’anno, assieme ai ragazzi del Nord Kaos, gruppo da qualche tempo sciolto, ho seguito tutte le trasferte escluso due. Non mi sono perso neppure la coppa Italia a Melfi il 20 agosto scorso».
Cosa significa essere ultrà oggi?
«Essere ultrà è dedicarsi alla squadra del cuore. Questo toglie i giovani dal vagabondaggio, dalle pasticche in discoteca, dalle corse in auto o in moto che finiscono con gli schianti. Nelle riunioni bisettimanali per fare il punto sulla gara appena giocata e programmare la successiva, organizzare i pullman, dividere i compiti, preparare la coreografia e disegnare gli striscioni, si riscoprono i valori dell’amicizia e dell’unità».
Perchè, allora, nelle curve degli stadi si annida la violenza?
«Perchè la violenza è presente nella società e nelle fasce giovanili e lo stadio ne racchiude un’ampia fetta. Io, da ultrà, disconosco con fermezza la guerriglia di Catania. Ho vissuto l’uccisione dell’ispettore di polizia come qualcosa di drammatico, un’autentica tragedia, ancor più grande visto che la persona che ha perso la vita quella sera non aveva alcun interesse a vedere il derby».
E come giudica le misure antiviolenza decise del governo?
«Il solito tappo. Il provvedimento delle porte chiuse per esempio penalizza oltremodo i supporter dell’Udinese, che tra l’altro fanno riferimento a uno stadio che ha tutti i requisiti per la sicurezza, vedi il parcheggio, gli ampi spazi, la possibilità di controllare dall’alto, a differenza dagli impianti infilati in mezzo alle viuzze cittadine com’è il Del Duca di Ascoli e lo stesso Cibali di Catania. Anche proibire le trasferte è sbagliato. Sarà meglio che 400 tifosi si rechino da Verona a Napoli su un treno speciale piuttosto che con 15 pullman e 20 automobili, vero? E ancora, i responsabili della Digos, che ormai li conoscono, dovrebbero seguire i tifosi in trasferta. Spesso una parolina detta in confidenza è mille volte più efficace di una manganellata».
Come arrivare, allora a una legge “giusta”?
«Mettendo attorno a una tavolo tutte le componenti di questo enorme movimento: le forze dell’ordine, i politici, i sociologi e gli stessi rappresentanti del tifo. Ne verrebbe fuori un provvedimento organico, esaustivo e funzionale».
Nel difendere i tifosi violenti che rischiano i provvedimenti del Daspo, il divieto cioè di entrare in stadi e palasport per due o tre anni, si tenta in qualche modo anche un intervento dissuasivo?
«Personalmente faccio il mio lavoro di diritto penale, non sono nè un assistente sociale, nè un educatore. Difendo semplicemente l’assistito cercando di far applicare la legge nel migliore dei modi».
Fonte:
Espresso local - Il Messaggero Veneto
Giovanni Adami: «Basta “toppe” antiviolenza, serve una legge efficace»
Mai come adesso le sue giornate sono frenetiche, da Milano a Siena, da Roseto degli Abruzzi a Modena, da Treviso a Catanzaro. Oggi un aeroporto, domani un tratto di autostrada, con la previsione di un’ora o due di sonno. Non solo aule di tribunale, ma anche scuole e università per conferenze. Lui è Giovanni Adami, l’ultrà diventato avvocato e ora legale dei tifosi (di calcio e basket) di mezza Italia che hanno qualche grattacapo con la giustizia.
Avvocato Adami, su quali “fronti” è impegnato questa settimana?
«Dopo aver presenziato a un’udienza a carico delle Brigate rossonere e aver seguito due degli 11 imputati di Trento coinvolti nei disordini di una gara di C col Pavia, in agenda c’è un Verona-Modena e un Benetton Mens sana Siena di basket, quindi un Milan-Roma. Nel frattempo sono in continuo contatto telefonico con il collega di Catania chiamato a occuparsi degli arrestati in seguito ai tragici fatti del derby».
Di questo parleremo dopo. Ci spieghi intanto come si fa a diventare avvocato degli ultrà. Lei è stato il primo in Italia, vero?
«Sì, in contemporanea con Lorenzo Cantucci, capo della tifoseria romanista; lui nella capitale, io a Udine. Lo conosco da tempo e quando, nel ’98, ci siamo reincontrati fuori dallo stadio Olimpico, dove l’Udinese di Zaccheroni aveva battuto i giallorossi per 2-1, ci siamo detti: ma come mai tutti questi tifosi diffidati e costretti all’obbligo di firma in questura? Perchè non approfondiamo la questione e studiamo i ricorsi al Tar? Mi sono concentrato su questa legge 401 dell’89, che è tra l’amministrativo e il penale. Ed è diventata praticamente un specializzazione».
Però dopo lei ha approfondito la legge al riguardo confrontandola con quella dei altri Paesi europei. Che diversità ha riscontrato?
«In Inghilterra sono estremamente severi, lì non si usufruisce di alcun beneficio tipo sospensione condizionale. La Germania e l’Austria prevedono multe salate che possono essere comminate anche per tre o quattro volte; da noi c’è una via di mezzo, ma a mio avviso la legge italiana non risolve il problema ed è ai limiti della costituzionalità per quanto riguarda l’arresto con differita fino a 36 ore».
Al di là di questa attività, lo sport ha comunque sempre fatto parte della sua vita, non solo perchè tifoso, ma perchè praticante a livello professionistico nella pallacanestro. Lo vogliamo ricordare?
«Ho giocato un anno in A a Udine nell’Emmezeta di Cainero, Piccin e Fabbricatore, che mi hanno prelevato dalla Virtus Padova. Tra i campionati alla Virtus e quelli alla Longobardi Cividale ho collezionato sette anni di B2. Ora mi sto divertendo con gli amatori della Pau udinese».
Nel frattempo, tifoso irriducibile allo stadio Friuli.
«Precisamente da quando avevo 5 anni, nel ’76, e mio papà mi portò a vedere Udinese-Bolzano 3-2. Ho continuato a seguire assiduamente le zebrette anche se vivevo e studiavo a Padova. Quest’anno, assieme ai ragazzi del Nord Kaos, gruppo da qualche tempo sciolto, ho seguito tutte le trasferte escluso due. Non mi sono perso neppure la coppa Italia a Melfi il 20 agosto scorso».
Cosa significa essere ultrà oggi?
«Essere ultrà è dedicarsi alla squadra del cuore. Questo toglie i giovani dal vagabondaggio, dalle pasticche in discoteca, dalle corse in auto o in moto che finiscono con gli schianti. Nelle riunioni bisettimanali per fare il punto sulla gara appena giocata e programmare la successiva, organizzare i pullman, dividere i compiti, preparare la coreografia e disegnare gli striscioni, si riscoprono i valori dell’amicizia e dell’unità».
Perchè, allora, nelle curve degli stadi si annida la violenza?
«Perchè la violenza è presente nella società e nelle fasce giovanili e lo stadio ne racchiude un’ampia fetta. Io, da ultrà, disconosco con fermezza la guerriglia di Catania. Ho vissuto l’uccisione dell’ispettore di polizia come qualcosa di drammatico, un’autentica tragedia, ancor più grande visto che la persona che ha perso la vita quella sera non aveva alcun interesse a vedere il derby».
E come giudica le misure antiviolenza decise del governo?
«Il solito tappo. Il provvedimento delle porte chiuse per esempio penalizza oltremodo i supporter dell’Udinese, che tra l’altro fanno riferimento a uno stadio che ha tutti i requisiti per la sicurezza, vedi il parcheggio, gli ampi spazi, la possibilità di controllare dall’alto, a differenza dagli impianti infilati in mezzo alle viuzze cittadine com’è il Del Duca di Ascoli e lo stesso Cibali di Catania. Anche proibire le trasferte è sbagliato. Sarà meglio che 400 tifosi si rechino da Verona a Napoli su un treno speciale piuttosto che con 15 pullman e 20 automobili, vero? E ancora, i responsabili della Digos, che ormai li conoscono, dovrebbero seguire i tifosi in trasferta. Spesso una parolina detta in confidenza è mille volte più efficace di una manganellata».
Come arrivare, allora a una legge “giusta”?
«Mettendo attorno a una tavolo tutte le componenti di questo enorme movimento: le forze dell’ordine, i politici, i sociologi e gli stessi rappresentanti del tifo. Ne verrebbe fuori un provvedimento organico, esaustivo e funzionale».
Nel difendere i tifosi violenti che rischiano i provvedimenti del Daspo, il divieto cioè di entrare in stadi e palasport per due o tre anni, si tenta in qualche modo anche un intervento dissuasivo?
«Personalmente faccio il mio lavoro di diritto penale, non sono nè un assistente sociale, nè un educatore. Difendo semplicemente l’assistito cercando di far applicare la legge nel migliore dei modi».
Fonte:
Espresso local - Il Messaggero Veneto
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