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Data di pubblicazione: 02 ottobre 2004

Corruzione, la prescrizione "assolve" medici e vigili

PoliziaMunicipale.it
I reati di corruzione ci sono, gli imputati li hanno commessi, ma non verranno puniti, perché la giustizia ha perso la corsa contro il tempo. La sentenza d’appello ha cancellato così, con un colpo di spugna legale chiamato «prescrizione», lo scandalo dei 163 medici milanesi che intascavano mazzette in cambio di pazienti. Cioè per dirottare malati nel centro di medicina nucleare del professor Giuseppe Poggi Longostrevi, che si è tolto la vita nel settembre 2000, tre anni dopo l’arresto, il carcere e le confessioni-fiume che nel ’97 gli fecero perdere tutte le protezioni politiche e amministrative. Da quelle corruzioni sistematiche sono passati, tra indagini e due maxiprocessi, più di sette anni e mezzo. Ed è proprio questa scadenza dei termini a spiegare il verdetto di ieri: 31 condanne, 15 vere assoluzioni e ben 132 prescrizioni. Stesso copione per l’ultimo troncone del processo per le bustarelle ai vigili dell’annonaria: 10 prescrizioni, una condanna e una sola effettiva assoluzione. L’inchiesta sui medici corrotti era partita nel ’97 dalla scoperta, nei computer di Longostrevi, di un archivio con i nomi di oltre 700 medici affiancati da cifre o regali. «Perdonando» i doni minori, il pm Francesco Prete ha limitato l’inchiesta ai dottori accusati di ricevere periodiche buste di denaro. Dei 252 imputati originari, l’intero staff di Poggi e oltre 50 medici hanno patteggiato nel 2000. Il maxiprocesso in tribunale è finito nel gennaio 2003: 175 medici condannati, 42 assolti e prime 24 prescrizioni. Ieri, la Corte d’appello ha riconosciuto ad altri 132 dottori le attenuanti generiche che hanno dimezzato e quindi fatto scadere i termini di prescrizione. La Corte ha proclamato invece la piena innocenza di 15 medici: Otello Adnet, Lucio Alberini, Giorgio Astolfi, Vito Chiaravalloti, Giuseppe Job, Luigi Manzoni, Sergio Moglia, Eugenio Pasquinucci, Pietro Pizzi, Rosa Sgrò, Giorgio Stracka, Luciano Terrenghi, Carlo Valli, Marzio Zennaro, Claudio Zilianti.
Per lo scandalo dei «ghisa», l’andamento del processo è ancor più da manuale dell’impunità. Nel 1995 l’allora pm Giovanna Ichino ottiene l’arresto di 31 vigili dell’annonaria accusati di essersi divisi, col sistema della cassa comune, tante piccole tangenti versate dai commercianti ambulanti. Tra le prove spiccano i filmati della consegna delle bustarelle, che spingono 15 indagati a confessare e patteggiare subito, mentre 4 sono condannati col rito abbreviato. Per gli altri 12 parte il giudizio ordinario, segnato però da continue novità legislative. Il processo riparte da zero per tre volte: il primo salta per le nuove «incompatibilità» dei giudici; il secondo per un’eccezione di nullità; il terzo resta bloccato dall’andirivieni di regole sulla validità delle prove fino alla riforma del cosiddetto «giusto processo». Dopo altre vicissitudini, solo ieri la prima sentenza del tribunale: prescrizione, dopo 9 anni, per 10 accusati di corruzione; condanna a 22 mesi per l’unico colpevole di «concussione». E assoluzione piena per Celso Gipponi, difeso dall’avvocato Antonio Bana: un vigile onesto tra molti furbi. (
Corriere della Sera)
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