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Data di pubblicazione: 05 novembre 2003

Patente a punti

Alzi la mano chi è pronto a scommettere che l’istituto della patente a punti supererà indenne le forche caudine di un giudizio di legittimità costituzionale davanti alla Consulta ?
In tanti ci siamo posti questa domanda: l’introduzione dell’art. 126-
bis, infatti, così come formulato nella legge di conversione del D.L. n. 151, scatenerà una ridda di eccezioni d’incostituzionalità, che attiveranno prima o poi un pronunciamento della Corte costituzionale in via incidentale.

Punctum pruriens è la decurtazione di punti in capo al proprietario del veicolo, per le violazioni in cui non sia stato possibile identificare il conducente: tale previsione, lo sostengono in molti, concretizzerebbe una fattispecie di responsabilità oggettiva, in contrasto con l’art. 27 Cost. che afferma la responsabilità personale in materia penale.
A questo punto sorge spontanea una domanda, giusto per rivangare le nostre reminiscenze di diritto: ma cos’è la responsabilità oggettiva?
E’ l’imputazione al soggetto delle conseguenze di un fatto da lui materialmente causato, ma sulla mera esistenza del rapporto di causalità tra condotta ed evento ed indipendentemente da qualsiasi nesso psichico tra il fatto e l’agente stesso, cioè quando manchi il dolo o la colpa.
Non va confusa con la responsabilità per fatto altrui, quando il soggetto risponde del fatto altrui, senza un proprio contributo causale al verificarsi di esso; viene invece contrapposta alla responsabilità colpevole, quando il soggetto è chiamato a rispondere soltanto del fatto proprio, che sia a lui attribuibile anche psicologicamente nella forma del dolo o quanto meno della colpa: perché un fatto costituisca reato occorre quindi che il soggetto l’abbia realizzato non solo materialmente, ma anche colpevolmente.
L’istituto in questione rileva sotto il profilo penale, civile e amministrativo: con riferimento al primo, la dottrina maggioritaria attribuisce all’affermazione contenuta nell’art. 27/1 Cost. (“La responsabilità penale è personale”) un divieto sia di responsabilità per fatto altrui che di responsabilità oggettiva, incardinando il diritto penale al principio della responsabilità per fatto proprio colpevole, poiché anche l’evento causato dal soggetto, ma a lui psicologicamente non ricollegabile, non può dirsi certo suo personale; di conseguenza le due citate forme di responsabilità devono ritenersi incostituzionali.
Ciò non toglie che nell’ordinamento vigente si rinvengano alcune ipotesi di responsabilità oggettiva, indiscusse quelle previste dall’art. 42/3 c.p., reati aggravati dall’evento, o dall’art. 117 c.p., concorso dell’
extraneus nel reato proprio.
Diversamente, in materia di responsabilità civile, la responsabilità oggettiva non incontra questi limiti e assume dimensioni più rilevanti, considerato che nell’ambito di molte organizzazioni produttive moderne è assai problematica l’individuazione dell’autore dell’evento lesivo, e pertanto collegare sempre e comunque la responsabilità alla colpa priverebbe di tutela il danneggiato.
In realtà il nostro ordinamento prevede solo in via eccezionale casi di responsabilità oggettiva assoluta, quella per mera causalità, come la responsabilità per danno derivante dallo sfruttamento pacifico dell’energia atomica (L. n. 1860/1962) o per danni causati da oggetti spaziali (L. n. 23/1983, l’art. 5 afferma che la responsabilità ha “natura obiettiva e non ammette prova liberatoria”).
Ma per ritornare ad esempi più consoni all’argomento trattato, è considerata oggettiva la responsabilità ex art. 2054/3 c.c., che grava, solidalmente con il conducente, sul proprietario del veicolo quando non riesca a provare che la circolazione del veicolo sia avvenuta contro la sua volontà, necessitando quindi la prova di un concreto comportamento ostativo.
Che si risponda per il fatto di ricoprire una determinata posizione non significa rispondere senza colpa, se la legge stabilisce che la persona possa dimostrare la propria estraneità al fatto dannoso; che la colpa venga presunta non significa che non vi sia: c’è anche la possibilità di dimostrare il contrario.
Talvolta infatti la colpa è presunta fino a prova contraria, talvolta la prova liberatoria richiesta è piuttosto rigorosa (ad es. art. 2050 c.c.), talvolta le cause ignote sono a carico del responsabile (ad es. art. 2051 c.c.).
E da ultimo veniamo alla responsabilità nell’illecito amministrativo, facendo una premessa di fondo: alla costruzione di quest’ultimo, così come formulato dalla L. 689, concorrono elementi mutuati sia dal diritto penale, tra cui il principio di legalità, l’elemento soggettivo e le cause di esclusione della responsabilità solo per citarne alcuni, che da quello civile, rappresentati soprattutto dalla solidarietà e dalla responsabilità di chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace per un fatto realizzato da questi.
In particolare l’art. 3/1 della predetta legge, ripetendo la formula dell’art. 42 c.p., richiede lo stesso elemento soggettivo delle contravvenzioni, l’indifferenza tra dolo e colpa, pur essendo necessaria almeno quest’ultima, depurando in tal modo l’illecito amministrativo da quei residui di responsabilità oggettiva che ancora inquinano l’illecito penale.
L’art. 6 invece ha introdotto l’istituto della solidarietà, di derivazione civilistica, prevedendo la responsabilità in solido, con l’autore dell’illecito, del proprietario della cosa che servì a commettere la violazione, della persona incaricata della vigilanza sull’incapace, per i fatti da quest’ultimo commessi, dell’imprenditore per gli illeciti commessi dal dipendente nell’esercizio delle proprie incombenze.
Analizzando attentamente il primo comma di questo articolo, relativo al proprietario dalla cosa che servì o fu destinata a commettere la violazione, si può notare che è stato ripreso
in toto dall’art. 196 del codice della strada, ma la cosa più interessante è che ripete la stessa formulazione dell’art. 2054/3 c.c., proposto precedentemente come esempio di responsabilità oggettiva in campo civile.
Con un’importante precisazione però: nella L. 689 come nell’art. 196 CdS la responsabilità in solido comporta il pagamento della somma pecuniaria scaturita dalla violazione amministrativa, e non invece l’assoggettamento ad altra sanzione di carattere affittivo, ma non pecuniario, come quella della detrazione dei punti dalla patente prevista dall’art. 126-
bis; anzi questa formalmente non è nemmeno considerata sanzione accessoria dal rinnovellato Codice della strada, non avendo trovato collocazione nell’elenco delle sanzioni accessorie previsto dall’art. 210 comma 2
lett. c (sanzioni concernenti i documenti di circolazione e la patente di guida).
In sintesi due sono le teorie, la prima che ritiene l’illecito amministrativo, in special modo quello punito con sanzione pecuniaria, una categoria autonoma da quella dell’illecito penale, con la logica conseguenza di un superamento dei principi regolatori del diritto penale nella costruzione delle regole fondamentali degli illeciti amministrativi; per la seconda invece non sussistono sostanziali differenze tra le due categorie di illeciti, cosicché sarebbe meramente formale il criterio distintivo tra le stesse, costituito dal tipo di sanzione prevista per ciascun illecito: pena per l’illecito penale e sanzione amministrativa per quello amministrativo.
A sostegno della prima l’uso del termine “assoggettato” che il legislatore ha fatto nell’art. 1 della 689 (a differenza del “punito” dell’art. 1 del c.p.), come se la sanzione amministrativa avesse un valore diverso dalla pena, tanto che alcuni accostarono l’illecito amministrativo a quello civile, individuandone il fondamento costituzionale nell’art. 23 Cost., “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.

Contra la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza hanno evidenziato che mentre dall’illecito civile scaturisce l’obbligo di risarcire il danno provocato al fine di reintegrare il patrimonio oggetto della lesione, l’illecito amministrativo determina l’obbligo di sottostare alla sanzione amministrativa in quanto si è violata una norma dettata per la tutela di interessi generali, obbligo che non può essere frazionato tra più autori. Pertanto, come nel diritto penale, il carattere punitivo, generalpreventivo e specialpreventivo della sanzione amministrativa esclude la trasmissibilità agli eredi dell’obbligazione di pagare la pena pecuniaria alla morte del trasgressore.
In ultima istanza, è il legislatore, nel momento in cui si predispone a regolamentare dei fatti, che sceglie la collocazione della materia nel sistema sanzionatorio penale od in quello amministrativo, in base a proprie valutazioni politiche.
Comunque all’obiezione che l’illecito amministrativo non ha la natura risarcitoria o reintegratoria tipica di quello civile, si può tranquillamente replicare che esistono nell’ordinamento sanzioni amministrative ripristinatorie, volte ad eliminare il danno od il profitto dell’agente, soprattutto in materia urbanistica o di bellezze naturali, ma anche nel codice della strada come l’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi o di rimozione di opere abusive.
Sarà interessante vedere l’orientamento della Consulta, quando sarà investita della questione, se privilegerà il carattere autonomo della sanzione amministrativa, ibridata di elementi civilistici e per questo non necessariamente incompatibile con l’istituto della responsabilità oggettiva, oppure riterrà prevalente la contiguità tra il sistema dell’illecito amministrativo e quello penale, visto come momento di garanzia del cittadino. Si pensi, a tale riguardo, ai principi generali stabiliti dai primi articoli della L. 689, che riecheggiano consolidati principi costituzionali peculiari del diritto penale.
Una lettura meramente formale dell’art. 27 Cost., valida esclusivamente per la materia penale, aprirebbe comunque un
vulnus nella tutela dei diritti di difesa del cittadino, considerato che il legislatore potrebbe mascherare vere e proprie fattispecie penali sotto una copertura formalmente amministrativa; come ha fatto recentemente con l’introduzione della responsabilità amministrativa dell’ente contenuta nel D.lvo n. 231/2001, formalmente amministrativa, ma sostanzialmente di carattere penale, desumibile dal collegamento diretto e non solidale della responsabilità della società con la commissione di reati, e sull’accertamento della stessa demandata al giudice penale con l’insieme delle garanzie del processo penale.
Forse adesso, qualcuno, incoraggiato da quanto detto, non esiterebbe ad alzare la mano, per ritornare alla frase d’esordio di questo discorso, confidando che l’incompatibilità costituzionale della responsabilità oggettiva prevista dall’art. 27 Cost. non riguardi la violazione di natura amministrativa.
Ma siamo proprio sicuri che solo l’art. 27 Cost. potrebbe costituire la norma parametro di un eventuale giudizio di costituzionalità ?
Guardando alle modalità di decurtazione del punteggio della patente previste da 126-
bis, nel caso di conducente rimasto sconosciuto, notiamo che le conseguenze rispetto ad uno stesso fatto possono essere diverse:
1. decurtazione del punteggio dalla patente di guida, del proprietario o di chi da questo è stato indicato come conducente;
2. nessuna decurtazione, se il proprietario non è titolare di patente di guida (si può essere tranquillamente proprietari di un veicolo senza avere la patente). In questo caso al proprietario non è imposto nessun obbligo di comunicazione del nominativo del conducente (qui il legislatore avrebbe fatto bene a stabilire lo stesso obbligo previsto in capo ai legali rappresentanti delle persone giuridiche) e pertanto non vi è perdita di punteggio, né sanzioni ulteriori rispetto a quelle previste per la singola norma violata. In questo caso l’art. 126-
bis risulta completamente inefficace.
3. con riguardo alle persone giuridiche, nel caso che il legale rappresentante omettesse di fornire i dati personali e della patente del conducente all’organo procedente, vi è solo una sanzione pecuniaria carico del primo.
E’ chiaro che qualcuno potrebbe ritenere sussistenti (il condizionale è d’obbligo) i presupposti per invocare l’illegittimità costituzionale, in relazione al principio d’uguaglianza previsto dall’art. 3 della Costituzione.
A questo aggiungiamo che il proprietario del veicolo, per vincere la presunzione di colpa in relazione ad un illecito comportante la perdita di punti, non deve dimostrare o provare alcunché, ma solo e semplicemente comunicare, all’organo di polizia procedente, i dati personali e della patente del conducente, il quale tuttavia non può avvalersi della stessa facoltà concessa al proprietario, salvo spostare la questione sul piano penale con il rimedio generale della querela di falso.
L’addebito di un fatto comportante una pena affittiva, tramite una semplice dichiarazione apodittica proveniente da chi non riveste la qualifica di pubblico ufficiale, lede non solo la tutela dell’onorabilità del cittadino onesto, ma mina anche il principio della sicurezza stradale che la stessa norma vorrebbe salvaguardare, consentendo a persone prive di scrupoli di eludere l’applicazione a loro carico dell’art. 126-
bis, attraverso l’intestazione di veicoli a persone non titolari di patenti di guida o la comunicazione all’organo di polizia di dati personali e della patente relativi a conducenti fittizi.
Tutte queste considerazioni potranno essere oggetto di un controllo della ragionevolezza della norma in questione, atteso che le valutazioni inerenti alla non arbitrarietà delle norme impugnate sono particolarmente frequenti allorché la Corte assume a parametro il principio generale di uguaglianza.



Enrico Recchia, specialista di vigilanza della polizia municipale di Verona
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