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Data di pubblicazione: 31 dicembre 2021

Intervista esclusiva

poliziamunicipale.it

Stefano Manzelli, direttore di poliziamunicipale.it, ha intervistato in esclusiva Stefano Padovano, Professore di Criminologia e sociologia del disagio presso il Dipartimento Scienze della Salute (DISSAL) dell'Università di Genova, nonchè autore del libro "Sicurezza Urbana - daconcetto equivoco a inganno", edito da Meltemi (11 novembre 2021).

 

La “sicurezza urbana” è un concetto largamente utilizzato dalla politica, spesso a sproposito, ma dai contorni piuttosto sfuggenti. Quali sono, o dovrebbero esserne, i pilastri portanti?

L’esperienza degli ultimi 15 anni ha visto la politica svolgere le competenze di sicurezza urbana compiendo un errore ineludibile: quello di governare attraverso le paure e gli allarmi sociali invece che prendere in carico questi sentimenti, per lo più oggettivi e solo in minima parte frutto di percezioni non rispondenti. Ciò ha fatto sì che azioni, programmi, prospettive di intervento - anche sperimentali - lasciassero il posto alla sola diffusione di slogan ad effetto. Il tema della sicurezza nelle città fin dagli anni Novanta si è posto su una linea liminale con l’ordine pubblico, ma per funzionare ha bisogno di permearsi e rigenerarsi attraverso una dinamica multidisciplinare interna alle stesse organizzazioni comunali. Questo è il primo e irrinunciabile passo su cui rifondare la questione sicurezza. Solo fatto questo si potrà comprendere come riposizionarsi all’interno delle sedi istituzionali dello Stato: ministeri, prefetture, ecc. 

 

Negli ultimi decenni praticamente ogni Governo ha legiferato in tema di sicurezza urbana. Questo apparente interesse trasversale si è tradotto davvero in un incremento della sicurezza urbana oppure no? E per quali ragioni?

 

La domanda che mi pone trova cittadinanza nei capitoli centrali del libro. Devo dire però che ogni qual volta le coalizioni dei diversi governi si sono succedute lo hanno fatto con imbarazzo, ritrosia, rivelando differenti “mal di pancia” nell’affrontare questa competenza. Mi riferisco alla fase del secondo governo Prodi (2006-2008) e a quella del secondo governo Berlusconi (2008-2011). Con il governo Monti si è assistito a un cortocircuito: mentre il tema è stato lasciato per lo più sullo sfondo, quando veniva emanato qualche provvedimento che si intersecava con quello dei regolamenti urbani, si doveva fare i conti con le liberalizzazioni commerciali e l’abbattimento degli orari di chiusura con effetti devastanti per i sindaci. Per questo, da studioso, non rilevo una tendenza all’accresciuto senso di sicurezza rispetto agli spazi urbani in cui si vive. La pandemia da Covid, anche per via della sensibile diminuzione di alcuni reati, ha soltanto sospeso il livello di alcune criticità. Purtroppo i prossimi mesi emergerà un quadro più problematico dello stato generale.       

 

Il progressivo calo di qualità della politica ha generato danni irreversibili a suo avviso sul comparto sicurezza?

 

Non si è assistito a nessun cambio di passo. Tendenzialmente siamo contornati da una nuova leva di amministratori che io definisco “sindaci per caso”. Una parte di essi non possiede il retroterra culturale per affrontare il tema, eppure basterebbe prepararsi un poco. Degli effetti che le scuole di partito hanno trasmesso alla classe politica fino a fine Novecento non vi è più traccia. Una parte di essi credono sia sufficiente delegare alle forze dell’ordine tutto quel che ruota intorno a criminalità e devianze, ma Polizia e Carabinieri non possono intervenire dinanzi ad un processo di mediazione tra minori coinvolti in un reato, se un’area urbana o un quartiere non sono oggetto di una riqualificazione sociale, se l’installazione di un sistema di videosorveglianza non restituisce gli effetti sperati, e potrei continuare con altri esempi.     

 

Ad un progressivo calo dei reati, nelle città, si è accompagnata in questi anni una percezione, da parte della gente, che va nella direzione opposta. C’è il rischio che le politiche, così come sono state impostate finora, non fomentino una insicurezza che a sua volta provoca disagio?

 

Fa una riflessione per nulla banale e che condivido. Perché nel capitolo conclusivo del libro sono – così almeno mi hanno detto – particolarmente duro? Alcuni mi hanno detto: ‘bravo per averci dato la linea!’. Ma io la linea la do soltanto a me stesso, mettendomi continuamente in discussione. Piuttosto, un tempo, la linea la davano i partiti. Esprimo soltanto una valutazione tecnica, foriera di venticinque anni d’esperienza. La tratteggio con diverse indicazioni ma con il cuore in mano, perché basterebbero tanti piccoli sforzi, di breve respiro ma coordinati, per accrescere un sistema di condivisione collettivo che ne migliorerebbe la qualità urbana. Non facendo ciò il rischio alle porte è quello che anticipava lei nel pormi il quesito: la circolarità virtuosa tra insicurezza che deriva dal disagio sociale e che esso stesso rigenera.  

 

Negli ingranaggi delle attuali politiche, e di quelle auspicabilmente future, come vede l’avvenire della polizia locale?

Ho detto più di una volta che le polizie locali dovrebbero decidere cosa vogliono fare “da grandi”. Di recente poi, con l’entrata in servizio del nuovo personale, dotato tra l’altro di strumenti formativi importanti (lauree, master, ecc.), non si capisce se il ruolo dell’operatore di polizia locale è un punto di arrivo, di partenza o peggio di transito. I neo assunti dell’ultimo decennio stentano a rivelare una conoscenza approfondita e consapevole dell’importante ruolo che andranno a rivestire. Alcuni inseguono il modello di polizia tradizionale, ripiegando sulla polizia locale quale scelta di portata inferiore, altri mirano esclusivamente a guadagnare un impiego nella pubblica amministrazione ruotando nel tempo all’interno di essa, altri ancora la considerano una scelta occupazionale di passaggio. In questo senso, per quanto ciò rispecchi gli effetti dovuti alle dinamiche dell’odierno mondo del lavoro, ritengo che nella sfera delle polizie locali sindacati e associazioni professionali abbiano fatto meno di quanto era nelle loro facoltà per delineare meglio ruoli e funzioni della polizia locale. Su questo punto mi è capitato di ragionare con quadri sindacali e dirigenti nazionali, così come convenire sul fatto che il mancato decollo della sicurezza urbana fosse da imputare anche alle mancate occasioni di questi ultimi. Ma con gli “avevi ragione” del giorno dopo non si va assai lontano.               

   

In conclusione il titolo del suo libro non è tanto una provocazione ma un'istantanea di un sistema fuori controllo da almeno due decenni. A chi possiamo affidarci per riporre un pò di speranza nel futuro?

In primo luogo grazie per avere afferrato il senso dell’istantanea. Dobbiamo affidarci all’ascolto, alla capacità di confrontarci a partire da dati oggettivi e pratiche empiriche. Magari rivalutandole, riorientandole, se serve anche correggendole da capo a coda, ma lavorando nell’ottica dell’ascolto tra i profili professionali che la tematica richiede: criminologi sociali, urbanisti, operatori dei servizi alla persona, polizie locali appunto. Tuttavia il quadro non è roseo. C’è un saggio di uno studioso americano, William Davies, dall’eloquente titolo “Stati Nervosi”, uscito pochi mesi prima della pandemia, che denotava lo scollamento tra sapere scientifico e prassi operative. Credo che faccia il paio con le considerazioni accennate qui e di cui credo faremo fatica a liberarci ancora per un po'. 

 

In allegato la copertina del libro di Stefano Padovano ed una breve presentazione di autore e testo.

 

Il testo è acquistabile anche on-line, cliccando qui, in formato digitale o cartaceo.

 

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